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SOLENNITÀ DI CRISTO RE - C

SOLENNITÀ DI CRISTO RE - C

 

 

 

Questa domenica conclusiva dell’anno liturgico celebra la regalità del Cristo.

La prima lettura crea un parallelo tra la consacrazione messianica di Davide e quella del Signore Gesù. Come Davide è riconosciuto re da tutto Israele per un’intelligenza della parola di Dio, che lo ha designato, così sta accadendo per il Signore: la sua regalità s’impone per verità di evidenza in forza dell’annuncio evangelico ed è destinata ad estendersi sia su Israele che su tutti i popoli.

Il salmo responsoriale evidenzia il rapporto tra la casa di Davide e Gerusalemme, la città del grande re (Mt 5,35).

La seconda lettura celebra il dominio regale del Cristo sul mondo intero perché Egli è il Figlio del suo amore. In noi, che abbiamo creduto in Cristo, si è attuata la regalità del Cristo,quindi il ritorno della creazione al Padre. La regalità di Cristo, come vittoria sul potere della tenebra segna il principio del ricapitolare tutte le cose in Cristo (Ef 1,10). Il regno quindi non è già nella sua pienezza ma nella sua realizzazione (cfr. 1 Cor 15,25: Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte). Noi stessi, pur appartenendo già al regno in cui per fede contempliamo la luce, tuttavia siamo ancora nella possibilità della scelta e ancora sentiamo le sollecitazioni dell’antico avversario che ci vuole portare in quelle tenebre in cui eravamo. La missione apostolica è strappare gli uomini da questo potere (cfr. At 26,18).

Nell’Evangelo «il dominante è “l’ironia di Dio”. Qui Gesù è il deriso, il disprezzato proprio in questa irrisione lui tace. E nel massimo dell’umiliazione rivela la sua signoria. Gesù è condotto come un malfattore, sta in mezzo però come un giudice. Padre perdona loro che non sanno quello che fanno. È il giudizio universale pronunziato da Gesù. Colui che non salva se stesso salva tutti.

Si realizzano le profezie messianiche sia Is 53 che Sal 21. Se tu sei il Re dei Giudei. Ma sta sopra di lui l’iscrizione: questo è il Re dei Giudei. Salvare gli altri invece che se stesso. Gesù salva se stesso realizzando la missione che gli è stata affidata. La sua grazia fluisce su quelli che lo deridono e su quelli che capiscono. La sua grazia scende su tutti»

(d. U. Neri, appunti di omelia, Montesole, 14.11.1996).

 

 

 

PRIMA LETTURA              2 Sm 5,1-3

 

Dal secondo libro di Samuele

 

In quei giorni, 1 vennero tutte le tribù d’Israele da Davide in Ebron e gli dissero: «Ecco noi “ci consideriamo come” (lett.: “siamo”) tue ossa e tua carne.

 

In questo momento tutte le tribù, che riconoscono Israele come loro padre, dichiarano di essere uno con Davide: «siamo tue ossa e tua carne». La divisione tribale e territoriale tra le tribù del nord e quelle del sud è superata. Benché nella genealogia di Davide vi sia una moabita (Rut), tuttavia le tribù non ne tengono conto. Essendo uno in Davide cessa ora ogni inimicizia tra le varie tribù. In Davide è prefigurato il Cristo come principio di unità non solo d’Israele (vedi genealogia di Matteo) ma anche dell’intera umanità (vedi genealogia di Luca).

 

2 Gia prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele.

 

Anche sotto il regno di Saul il vero re era Davide. Caratteristica del re è fare entrare e uscire Israele. Il nostro testo traduce: condurre e ricondurre Israele. L’immagine che sottostà è quella del condottiero e del capo, come è detto di Davide in 1 Sm 18,16: Tutto Israele amava Davide perché egli entrava e usciva davanti a loro.

Allo stesso modo Mosè invoca da Dio un condottiero che abbia queste caratteristiche: Il Signore, il Dio della vita in ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore (Nm 27,16-17). Vi è quindi anche limmagine del pastore che guida il gregge a pascoli sicuri e lo tiene custodito nellovile. Sullo sfondo vi è la figura del Messia.

 

Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele».

 

La loro elezione di Davide si fonda sulla profezia. Essa si è diffusa tra il popolo, come ne dà testimonianza Abigail: «Certo, quando il Signore ti avrà concesso tutto il bene che ha detto a tuo riguardo e ti avrà costituito capo d’Israele, non sia di angoscia o di rimorso al tuo cuore questa cosa: l’aver versato invano il sangue e l’aver fatto giustizia con la tua mano, mio signore» (1 Sm 25,30); così pure Abner agli anziani d’Israele: «Ora mettetevi al lavoro, perché il Signore ha detto e confermato a Davide: Per mezzo di Davide mio servo libererò Israele mio popolo dalle mani dei Filistei e dalle mani di tutti i suoi nemici» (2 Sm 3,18). Anche in questo Davide è figura di Gesù perché i popoli e i singoli vedono in Lui il re Messia senza nessuna coercizione esterna.

 

3 Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re in Ebron e il re Davide fece alleanza con loro in Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re sopra Israele.

 

Forse questa è una seconda delegazione formata dagli anziani.

E il re Davide fece alleanza con loro. Il patto che il re fa con gli anziani denota che la nuova istituzione, la monarchia, non si pone al di sopra ma sta alla pari con le precedenti istituzioni impersonate dagli anziani. Il patto delimita l’autorità del re e non la rende dispotica. Lo statuto del re è espresso in Dt 17,15sg. Davanti al Signore facendo un sacrificio sull’altare del Signore che è in Ebron. Questa è la terza unzione in virtù della quale Davide diventa re su tutto Israele.

 

 

 

SALMO RESPONSORIALE              Sal 121

 

Andremo con gioia alla casa del Signore.

Quale gioia, quando mi dissero:


«Andremo alla casa del Signore!».


Già sono fermi i nostri piedi


alle tue porte, Gerusalemme!


Andremo con gioia alla casa del Signore.

 

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,


secondo la legge d’Israele,


per lodare il nome del Signore.


Là sono posti i troni del giudizio,


i troni della casa di Davide.

 

 

 

SECONDA LETTURA              Col 1,12-20

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi

 

Fratelli, 12 ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.

 

L’apostolo invita ora i suoi fratelli alla gioia che trabocca nel ringraziare il Padre. La vera gioia investe il nostro sentire ma non ha qui la sua sorgente. Essa scaturisce dall’intima operazione dello Spirito Santo a livello del nostro essere. Questa operazione è conosciuta mediante la fede ed è esperimentata nella carità verso tutti i santi (cfr. 1,4) e nella capacità di sperare andando oltre le apparenze. La gioia quindi è il silenzio della disperazione e del suo grido d’invocazione per ottenere la salvezza e diventa in noi il ringraziamento al Padre.

In questo ringraziamento il nostro spirito si ritma sullo Spirito Santo, che dà testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio (cfr. Rm 8,16) e si dirige al Padre con la stessa tenerezza e gratitudine dell’Unigenito Figlio. Il motivo del ringraziamento è il fatto che il Padre ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Prima non lo eravamo, ora noi siamo in grado di partecipare a questa sorte, a questa eredità.

L’eredità cui noi partecipiamo è quella dei santi nella luce. I santi, che sono nella luce e alla quale noi stessi partecipiamo, sono quelli che il Cristo ha illuminato con la sua redenzione quando con il suo sangue ha santificato il santuario celeste (cfr. Eb 9,22-23) e ivi ha fatto risplendere la conoscenza del Padre suo a tutti i suoi santi. Santi quindi sono i suoi angeli e tutti i suoi eletti, che Egli ha liberato dagli inferi e ha introdotto nelle dimore della casa del Padre suo illuminandoli con la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14).

Nella luce. L’apostolo specifica che la sorte dei Santi è la luce. In tutta la lettera nomina solo qui la luce. Dalle tenebre del suo carcere Paolo vede la luce che è riserbata in sorte ai santi. La luce è il Regno del Figlio del suo amore. In queste parole dell'Apostolo si sente l'esperienza dell'Esodo: le tenebre invasero la terra d'Egitto (cfr. Sap 17) invece ai tuoi santi grandissima era la luce (18,1).

 

13 È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto,

 

Il potere della tenebra è quello che operò nella Passione e Morte di Gesù: «Questa è l'ora vostra e il potere della tenebra»(Lc 22,53); contro di esso è la nostra lotta (cfr. Ef 6,12).

Che significa che il Padre ci ha liberati dal potere della tenebra? La tenebra si contrappone alla luce dove dimorano i santi. Come spirituale è la luce così lo sono pure le tenebre. Esse perciò possono penetrare solo nelle creature dotate di spirito quali gli angeli e gli uomini. Le tenebre scaturiscono pertanto da colui che è il seduttore e il mentitore fin da principio (cfr. Gv 8,44). In questo modo, attraverso l’energia del peccato e della morte, egli oscura gli uomini impedendo che le loro facoltà spirituali vedano la luce ma, al contrario, immerse nelle sue tenebre, contemplino solo le rappresentazioni passionali delle creature. Per questo il Signore vuole che preghiamo il Padre: liberaci dal male (Mt 6,13). Da questo potere, che opera nei figli delle tenebre, ci ha liberati il Padre. Essere liberati significa non aver più un rapporto di dipendenza assoluta al punto tale da sentirla naturale e di avere in noi la forza di resistere a una simile seduzione (cfr. Rm 7,24: Chi mi libererà da questo corpo di morte?). Tutto questo il Padre lo ha operato nel battesimo rendendoci suoi figli nel Figlio che Egli ama.

Dal potere delle tenebre il Padre ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. L’apostolo contrappone il potere al regno. Gesù ci ha insegnato che anche quello del satana è un regno (cfr. Lc 11,18). Paolo in questo momento contempla un potere dispotico e distruttivo quale quello della tenebra e un regno in cui domina l’amore del Padre per il Figlio suo. Noi siamo saziati e illuminati dall’amore del Padre per il Figlio. Infatti l’amore del Padre per il Figlio è tale che esso si riversa su di noi, come lo stesso Signore dice: «Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10,17).

 

14 per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.

 

Noi abbiamo la redenzione nel Figlio del suo amore. La nostra redenzione è nel Figlio amato dal Padre. Essa non si colloca in uomini santi (Abramo, Mosè ecc.) e neppure nelle sfere angeliche, ma nel Figlio in cui noi siamo amati. La redenzione quindi è la forza dell’amore con cui il Padre ci attrae al Figlio e in Lui ci redime donandoci la remissione dei peccati.

La redenzione è il rapporto che Gesù ha con noi e che noi abbiamo con Lui. Egli infatti è divenuto per noi sapienza da parte di Dio, giustificazione, santificazione e redenzione (1 Cor 1,30). Nel suo rapporto con noi Gesù diviene incessantemente da parte di Dio sapienza che ci ammaestra nell’intimo, giustificazione che adempie il rapporto con la Legge, santificazione che ci rende partecipi della vita divina, redenzione che distrugge in noi la forza del peccato.

Perché questo avvenisse il Figlio di Dio si è fatto Carne ed è avvenuto uno scambio doloroso per Lui vantaggioso per noi. Come insegna l’Apostolo, colui che non conosceva peccato per noi lo fece peccato, perché diventassimo giustizia di Dio in lui (2 Cor 5,21). Gesù, pur non conoscendo mai il peccato, è entrato nel profondo della nostra esistenza umana, là dove opera l’energia del peccato e della morte ed ha voluto assorbire su di sé tutta la forza distruttrice del peccato in tutte le sue forme più penetrate ed occulte del nostro corpo, della nostra psiche e del nostro spirito e le ha volute distruggere perché noi potessimo non essere più dominati da nessuna forza del peccato sia nel corpo,dominato dalla legge del peccato, sia nella psiche, afferrata dal piacere, come pure nello spirito attratto dalla conoscenza del bene e del male ma ripiegato costantemente su se stesso nella costante contemplazione e sublimazione del suo io. Egli ha compiuto la redenzione,distruggendo la forza del peccato, con la sua Croce, mediante il suo sangue (Ef 1,7). Qui è avvenuto il compimento della sua obbedienza che Lo aveva portato ad assumere una carne di peccato in vista del sacrificio per il peccato condannando in tal modo il peccato nella carne (cfr. Rm 8,3).

 

15 Egli è immagine del Dio invisibile, “generato prima di ogni creatura” (lett.: “primogenito di ogni creazione”);

 

Il quale è immagine del Dio invisibile. Immagine cfr. 2 Cor 4,4: qui la definizione di Cristo, immagine di Dio è legata allo splendore dell'Evangelo della gloria di Cristo. Potremmo dire che, poiché il Cristo è immagine di Dio, il suo Evangelo è di gloria, cioè risplende in esso la stessa gloria che è in Cristo, immagine di Dio. Tutto in Cristo è immagine del Dio invisibile; nella sua natura divina in quanto è della stessa sostanza del Padre, nella sua natura umana in quanto unita alla natura divina nell'unica persona del Figlio e nell’Evangelo, che è la sua Parola, che resta visibile nella sua Chiesa e nella quale noi contempliamo la sua immagine gloriosa.

Egli è immagine perché in Lui abita tutta la pienezza della divinità corporalmente (2,9). Corporalmente perché l'immagine invisibile di Dio diventa visibile in Lui, fatto per poco tempo inferiore agli angeli e glorificato alla destra di Dio (cfr. Eb 2,7-9). L'immagine del Dio invisibile diviene visibile senza subire alterazione e diminuzione perché tutta la pienezza della divinità inabita corporalmente in Lui.

Primogenito di ogni creazione. Primogenito indica il rapporto che il Figlio del suo amore ha con ogni creazione celeste, terrena e quella degli inferi. Egli è diventato primogenito nel momento in cui prese la nostra carne: Maria partorì il Figlio suo, il Primogenito (Lc 2,7). Non solo diventò nostro primogenito come è detto: primogenito di molti fratelli (Rm 8,29), ma è diventato primogenito di ogni creazione perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si piega delle realtà celesti e terrestri (Fil 2,10) e infatti quando introduce il Primogenito nel mondo lo adorano tutti gli angeli di Dio (Eb 1,6).

Primogenito pertanto è un termine di relazione con la creazione, come Unigenito lo è con il Padre. Ogni creatura, di qualsiasi natura essa sia, ha in Cristo la sua ragione di origine e di essere e il suo fine. Egli, generato prima di ogni creatura, è la ragion d’essere (il logos) di ciascuna di esse e di tutta la creazione nel suo insieme. In quanto primogenito, ciascun ordine della creazione porta la sua impronta e a Lui tende.

 

16 poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.

 

Essendo Gesù l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creazione, Egli è pure il luogo nel quale tutte le creature hanno origine dalla volontà creatrice del Padre. La sua natura umana, in forza della quale il Figlio è il Cristo, è l’archetipo in virtù del quale tutto è creato. Ogni creatura deve il principio del suo essere e del suo esistere al Padre attraverso il Cristo e in questi ha la sua ragion d’essere, cioè il suo logos, come c’insegna s. Massimo il Confessore.

Nessuna creatura, in qualsiasi ordine della creazione, sfugge a questo rapporto. Gesù quindi è il centro compaginante tutta la creazione nel suo insieme ed è il principio dell’armonia e dell’unità di tutte le cose. I vari ordini della creazione si armonizzano tra loro e si servono vicendevolmente per l’intrinseco rapporto che hanno con il Cristo, il Primogenito di ogni creazione, proprio perché Gesù è da sempre l’immagine del Dio invisibile. Per l’intrinseco rapporto che Egli ha con il Padre suo, di cui è l’immagine unica, tutte le creature nel loro essere fanno a Lui riferimento come alla causa della loro origine. Così infatti ha voluto Dio che il Figlio del suo amore, il suo Unigenito, nel suo disegno divenisse il principio di tutta la creazione, nella sua varietà in Lui ricapitolata e assoggettata alla sua signoria per essere il luogo della regalità del Padre, come c’insegna l’apostolo in 1 Cor 15,24: poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza.

Perché non si pensi che vi sia qualche creatura che sfugga, nell’atto creativo, al rapporto con il Cristo, l’apostolo precisa: tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili. I due ambiti della creazione, i cieli nei quali vi sono le creature invisibili e la terra abitata da quelle visibili sono in relazione al Cristo. Nessuno può trascendere la sua natura umana ed appellarsi eventualmente al solo suo essere Dio. L’elenco, che segue, enumera alcune potenze spirituali, che esercitano il loro dominio sulla creazione: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Benché simili potenze possano avere il titolo divino (cfr. 1 Cor 8,5) tuttavia esse non sono Dio come invece lo è il Cristo, dal quale dipendono e che ne distruggerà il potere (cfr. 1 Cor 15,24). Egli infatti è a loro superiore (cfr. Ef 1,21) In esse vi è pure un tentativo di separarci da Cristo (cfr. Rm 8,38).

Anche tra loro vi è stata la ribellione o l’accettazione del Cristo. Le potenze, che Lo hanno accolto e riconosciuto Signore, Lo servono nel mistero della sua Chiesa, nella quale conoscono la multiforme sapienza di Dio (Ef 3,10); quelle invece che Lo hanno rifiutato ci sono avverse e quindi contro di esse si è instaurata una lotta (cfr. Ef 6,12). Noi la vinciamo in forza della nostra sottomissione a Cristo, come al Signore nostro e di tutti. Come in Lui la creazione ha la sua origine dal Padre, quindi per mezzo di Lui, così essa è a Lui finalizzata. Egli ne è lo scopo e ne è quindi il principio che la compagina e la finalizza a sé come al suo ordine, alla sua armonia e alla sua beatitudine.

 

17 Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.

 

Nel rapporto con la creazione (tutte le cose) il Cristo non è ad essa contemporaneo, ma è prima. Prima indica una relazione, impossibile ad esprimersi con le nostre parole, tra il tempo, in cui tutto è posto, e l’eternità, in cui Egli è. Il prima quindi non è in ordine temporale ma riguarda l’essere. L’essere del Cristo è quello stesso del Figlio del suo amore e nell’atto in cui l’essere divino si determina come il Padre e il Figlio non perde la sua intrinseca unità e non suppone nessuna successione temporale. Al contrario il tutto, che si esprime nel molteplice di tutte le cose, ha nel Cristo il luogo della sua origine dal Padre senza essere coeterno a Dio.

«Dicendo che Egli è prima di tutte le cose, mostrò che Egli è sempre, la creazione invece è divenuta» (Basilio, adv. Eunom. 4, MPG 29,701). Il confine tra l’eternità e il tempo è l’umanità di Gesù, posta come principio ontologico di tutte le creature invisibili e visibili e originata dallo Spirito Santo nel grembo verginale di Maria, la Donna, nella pienezza dei tempi (Gal 4,4).

Nel Cristo pertanto tutte le cose sussistono, in Lui hanno la loro armonia, la loro unità e compattezza e in Lui sempre più sono unificate e ricapitolate.

Nella sua umanità Gesù è la sintesi benefica della natura divina con quella umana, del mondo visibile con quello invisibile, del tempo e dell’eternità. Tutto nel suo ordine proprio in Lui s’incontra e si armonizza in quell’unità meravigliosa e beatificante che fa in modo che Dio sia tutto in tutte le realtà (cfr. 1 Cor 15,28). Egli opera tutto questo con la potenza della sua parola (Eb 1,3). «La creazione sta salda in virtù della sua sapienza e della sua potenza» (Teodoreto, Biblia, o.c., p. 32).

 

18 Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.

 

«Osservazioni sulla struttura: nella seconda parte dell'inno prende ancora più evidenza l'uomo Gesù. Lui solo di cui i vv 18 e seg. tracciano la storia: sono una biografia. Nell'atto stesso in cui lo definisce capo della creazione ne fa anche la storia v. 20: è il crocifisso e al 22 nel corpo della sua carne. Osservazione particolare: contrapposizione arch (principio) v. 18 con arcai (principati) v. 16: Egli è il “principio dei principi”. Ammessa l'esistenza dei vari ordini creati, Lui è il principio dei principi, Gesù l'uomo morto in croce» (d. G. Dossetti, appunti di omelia, s. Antonio, 1.2.1972).

Ed Egli è il capo del corpo, la Chiesa. La Chiesa è chiamata il Corpo di cui il Cristo è il capo. Quindi il rapporto tra la Chiesa e Cristo è di tale natura che il Cristo non può essere senza la Chiesa come la Chiesa senza Cristo. Nella lettera agli Efesini appare che Cristo è capo come termine ultimo della sua glorificazione e della sua signoria su tutte le cose (1,22) e lo diede capo su tutte le cose alla Chiesa, che è il suo corpo, la pienezza di Colui che riempie tutte le cose in tutti.

Quindi la Chiesa è con Cristo all'apice di tutta la sua glorificazione e diventa quindi con Lui pleroma cioè pienezza. «Il Cristo non è soltanto il capo di tutta la creazione, ma del Corpo, della Chiesa: la grandezza di Cristo, fa la grandezza ...

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