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Donoso Cortes

 

Juan Donoso Cortés

Di Rino Cammilleri

 

INTRODUZIONE

 

Juan Donoso Cortés (1809-1853) nasce, vive e muore nella prima metà del secolo XIX, un secolo che si apre alle novità in ogni campo. L'epoca di Donoso è caratterizzata dal macchinismo nel campo economico, dalla nascita del proletariato in quello sociale, da un certo deismo nel religioso, dal liberalismo nel politico e il romanticismo nel letterario (1).

I giornali cominciano ad essere stampati per mezzo di macchine a vapore, il telegrafo e le tariffe postali rivoluzionano le comunicazioni, si afferma l’uso della carta-moneta e si fa strada l'inquietante fenomeno dell'urbanesimo. Gli anni di Donoso Cortés sono affollati di nomi che lasceranno il segno nel loro tempo (e alcuni di questi non solo nel loro); nel 1809 nascono Proudhon e Darwin; nel 1813 Kierkegaard e nel 1818 Marx. L'epoca conosce la maturità di Saint Simon, di Owen, di Fourier, morto nel 1837, di Comte, morto nel 1857. Bentham muore nel 1832, Hegel nel 1831 e Fichte nel 1814.

Definire Donoso Cortés valendosi dei giudizi espressi dagli studiosi è impossibile. Vediamone alcuni: "Donoso fu un grande iperbolico, le sue idee filosofiche provengono come da un delirio della mente" (2), oppure: "... non è analitico né sintetico... sospende, meraviglia e trascina... Più che filosofo è uomo di discussione e polemista, più che polemista, oratore. Non è scrittore corretto, ma è scrittore meraviglioso" (3).

Ancora: "Cortés non fu solo filosofo e scrittore, ma anche oratore e uomo politico, impossibile pertanto scindere il suo pensiero dall’azione, alla quale è profondamente mescolato" (4) e "Non piace ai conservatori, che non intendono rinunciare a niente di quanto posseggono o acquisiscono; scandalizza i demagoghi che intendono soprattutto svegliare i risentimenti e speculano sulla miseria per innalzarsi al potere" (5). 

Alcuni vedono in lui "l'ultimo grande esponente controrivoluzionario ottocentesco" (6), o addirittura lo "araldo teorico di una dittatura conservatrice" (7) e "filosofo di una dittatura radicale" (8). Altri lo descrivono come un "retorico apocalittico, creatore di luminose immagini, più che di una dottrina coerente" (9), "una combinazione di specchi per aumentare l'illusione" (10), i cui atteggiamenti di fondo erano "la fede senza ragioni, il gusto per le situazioni estreme, il ridurre la politica di ogni giorno a politica delle grandi occasioni" (11).

I paragoni e gli accostamenti, poi, sono svariati: "... della razza di Tertulliano, di Joseph De Maistre, e (perché non dirlo, sebbene il paragone sia irriverente?) di Proudhon" (12), o "Juan Donoso Cortés nella politica ha rappresentato quello che Calderon ha significato per il teatro spagnolo" (13)

Non manca chi fa dei paralleli con Sant'Agostino (14), o con Montesquieu (15). Il suo atteggiamento è stato definito "scontroso e difensivo" (16) e "troppo preoccupato di escludere anche l’ombra del progresso e del movimento della storia nelle profonde mutazioni che avvenivano sotto i suoi occhi" (17). Sul suo "pessimismo" più o meno "virile" (18), sembrano essere d'accordo in tanti: "I cattolici del secolo XIX… di fronte al movimento per la libertà politica si divisero in correnti varie che possono venire riportate a due principali, a quella del pessimismo e a quella dell'ottimismo. Non c'è forse miglior modo di personificare quest'antitesi che ricordare da una parte Donoso Cortés e dall'altra Carlo di Montalembert" (19).

"Disperando di essere compreso e ascoltato in tempo cedette sempre più alla tendenza al pessimismo" (20)

C'è chi divide la sua vita in due fasi (21), chi in tre (22), chi vi rinuncia (23).

I giudizi sembrano tuttavia convergere per un aspetto particolare della evidentemente complessa personalità donosiana: "E' uno dei più grandi difensori della tradizione cristiana d'Europa" (24). "Insomma, Donoso Cortés era discepolo di De Bonald, era tradizionalista, nel senso più rigoroso della parola"' (25). E si potrebbe continuare.

Il lungo elenco riportato è però a mio avviso sufficiente a fornire gli elementi che permettano di dare una definizione abbastanza esatta e rigorosa del nostro Autore: Donoso Cortés era cattolico, era tradizionalista, era controrivoluzionario. E’ alla luce di questa constatazione che il presente lavoro cercherà di affrontarne lo studio.

 

Note dell’introduzione

 

(01)   C. VALVERDE S. J.. Obras completas de Donoso Cortés. vol. I, Madrid 1970, Introduzione, pag. 2

(02)   PEDRO ROMERO MEMDOZA. Siete ensayos sobre el romanticismo espanol, vol. II, Servicios Culturales de la exe.ma Diputación de Càceres, pag.89)

(03)   MENENDEZ PELAYO. Historia de los heterodoxos espanoles. VI, Santander 1948, pag. 403

(04)   MICHELE FEDERICO SCIACCA. Donoso Cortés nella interpretazione di Jules Chaix-Ruy, in IDEA, 4 novembre 1956

(05)   JULES CHAIX-SUY. Donoso Cortés, teologo della storia e profeta, in HUMANITAS 7, Brescia 1955, pag. 643

(06)   G. ALLEGRA, Introduzione a J. DONOSO CORTÉS, Saggio sul cattolicesimo, liberalismo e socialismo, Milano 1972, pag. 10

(07)   K. SCHMITT Interpretacion europea de Donoso Cortés, Madrid 1963, pag. 121

(08)   Ibidem, pag. 133

(09)   ANGEL LÓPEZ-AMO, Pròlogo a K. SCHMITT, op. cit. pag. 14

(10)   J. BALMES, Obras completas, tomo VII, Escritos Politicos 2°, a cura del P. CASANOVAS S.J. , Madrid 1950, pag. 119

(11)   J. M. GARCIA ESCUDERO. La fama di Donoso, in INDICE, anno VIII, n.64, Madrid 30 giugno 1953

(12)   MENENDEZ PELAYO. Op. cit., pag. 403

(13)   P. SIENA, Donoso Cortés, Roma 1966, pag. 10.

(14)   RAÙL SÀNCHEZ ABELENDA, La teoria del poder en el pensamiento de Juan Donoso Cortés, Buenos Aires 1969, pag. 137.

(15)   JULES CHAIX-RUY. op. cit., pag. 648.

(16)   G. DE ROSA, Introduzione a Il potere cristiano, a cura di Lucrezia Cipriani Panunzio, Brescia 1964, pag. 12.

(17)   Ibidem, pag. 11, nota 3. De Rosa ne ammette anche un limitato parallelo con Kierkegaard, alle pagg. 21 e 23,

(18)   E. PENETTA, Donoso Cortés, le sue dottrine e gli avvenimenti risorgimentali italiani, in RASSEGNA STORICA DEL RISORGIMENTO, 2-3, vol. XLI, 1954 pag. 548.

(19)   A. DE GASPSRI, I cattolici dall'opposizione al governo, Bari 1955, pag. 516,

(20)   JULES CHAIX-RUY, op. cit.  pag. 652.

(21)   M. PAGOAGA, El pensamiento social de Donoso Cortés, Madrid 1958, pag. 11.

(22)   R.S. ABELENDA. Op. cit., pag. 59.

(23)   E. SCHRAMM, Donoso Cortés, esemplo del pensamiento de la tradicion, Madrid 1961, pag. 16, note 2 e 3.

(24)   Ibidem, pag. 43.

(25)   MENENDEZ PELAYO, op. cit., pag. 409.

 

1. Juan Donoso Cortés.

 

L'Estremadura è una delle regioni più povere della Spagna. Poco abitata, con estese coltivazioni di grano. Agli inizi del secolo scorso uno dei villaggi meno poveri era Don Benito, residenza di Don Pedro Donoso Cortés, "hidalgo" e avvocato dei Consigli Reali.

Il padre era stato "alcalde" di Don Benito. Discendeva da Hernan Cortés, il "conquistador" del Messico. Nel 1809 la "francesada" napoleonica costringeva Don Pedro e la moglie, Dona Maria Elena Fernandez-Canedo, a rifugiarsi nel loro podere di Valdegamas, distante una ventina di chilometri da Don Benito (1). La guerra durava già da un anno e i francesi non si erano dimostrati troppo teneri nei riguardi degli spagnoli. Don Juan Alvarez De Castro, Vescovo di Coria, ottantacinque anni, era stato fucilato; il monastero di San Juan de los Reyes era stato dato alle fiamme con tutto il suo preziosissimo archivio; le trecento monache Uclés violentate e arse vive; il numero di opere d'arte trafugate o vandalicamente distrutte, infinito (2).

La guerra, però, sembrava avesse voluto risparmiare dalle sue atrocità Valle de la Serena, a sei o sette leghe da Don Benito (3). Fu là che si trasferirono i Donoso, per attendere la nascita del loro secondogenito (il primo, Juan, era morto appena nato).

E così, in questa terra estremegna, "sorprendente e immensa, terribile e materna" (4), nacque il 6 maggio 1809, Juan Francisco Manuel Maria de la Salud, primo di nove fratelli.

Tutto ha di estremegno questo fanciullo "dall’aria pensosa e riflessiva" (5). Gli estremegni concepiscono la vita in maniera drammatica, come una cosa terribilmente seria, hanno nel sangue il senso del destino (6) e "tutto l'ardore dei patrii pascoli in estate" (7). "Le pianure lo hanno abituato a guardare lontano, a scrutare dove possono arrivare le strade che qui cominciano (…) Un cielo alto, limpido e azzurro gli ha insegnato che ci sono idee eterne ed immutabili che stanno a fondamento delle vicissitudini umane, e le notti maestose (…) gli hanno mostrato intuitivamente che in tutte le cose c'è un ordine armonico e permanente voluto da Dio" (8). Il padre è un buon cattolico, ma "ilustrado", tipico rappresentante dell'alta borghesia delle province rurali spagnole, borghesia nella quale il giovane Donoso vedrà il migliore appoggio dello Stato, ma che è molto più conservatrice di quella francese (9).

Juan si rivela subito provvisto di una "vivacissima intelligenza, della quale diede precoce testimonianza in alcuni geniali Apuntes de Historia scritti a quattordici anni e che rivelarono originalità di pensiero insieme ad una sbalorditiva capacità di sintesi" (10). II suo primo maestro, il progressista Beltran y Vara, sarà costretto a dire di lui al padre: "Suo figlio sa già più di me" (11). Il suo amore per lo studio si rivela prestissimo. Legge di tutto e specialmente i libri francesi proibiti dalla Chiesa che il padre, membro di una Società Economica progressista di Càceres e amico del poeta liberale Quintana, gli permette di leggere. La madre è costretta a togliergli la candela la notte, per impedirgli di affaticarsi eccessivamente. E il bimbo obbedisce. Sarà timido e sentimentale sempre (12). A undici anni viene inviato dal padre all'Università di Salamanca, il centro culturale più progressista di Spagna, sede anche di una fiorente Loggia massonica, dove resterà solo un anno. Nel 1821 si trasferisce nel Collegio di San Pedro, a Càceres, che aveva categoria di università provinciale (il Collegio era stato riaperto dopo il "pronunciamiento" di Riego ed il ripristino della Costituzione di Cadice del 1812 da parte del re Ferdinando VII). A Càceres frequenta la casa dell’hidalgo" Don José Garcia Carrasco, luogo di riunione di liberali e "afrancesados". Qui conosce la figlia di Don José, Teresa, che un giorno diverrà sua moglie.

Nella primavera del 1823 va a passare le vacanze a Cabeza del Buey, presso Badajos, ove s'era ritirato in esilio volontario Manuel José Quintana (13).

Questi, cinque anni dopo, in una lettera ad Agustin Duran, dirà di lui: "Un soggetto che nei pochi anni che conta riunisce a un talento non comune una istruzione e una forza di ragione e di discorso tuttavia più rare. E' dialettico e controversista come Ella. (...) E’ figlio, infine, delle mie orazioni; amico di tutta fiducia, è venuto per qualche tempo a farmi compagnia nella solitudine in cui vivo" (14).

Terminati gli studi di Filosofia a Caceres, Juan si reca a Siviglia per intraprendervi gli studi di Diritto. Qui intrattiene vivacissime relazioni con un circolo di amici appassionati di filosofia e letteratura (15), coi quali fonderà una Società Letteraria. Fino al 1828 la sua penna, sarà occupata a scrivere romantiche poesie d’amore e versi contro i tiranni. E' di questo periodo l'incompiuta tragedia in versi "Padilla". Tra un verso e l'altro, frattanto, legge Locke, Condillac, Destutt-Tracy. A diciannove anni, finiti gli studi, parte per Madrid dove, raccomandato da Quintana, spera di introdursi nei circoli culturali della capitale; ma probabilmente perché a corto di quattrini (come una sua lettera al padre sembra mostrare) (16), torna a casa. Per qualche mese si occuperà solo di lavoro nello studio del padre e di corrispondenza epistolare con amici ed ex-compagni di studio, corrispondenza che è utilissima per poter inquadrare un Donoso ventenne sinceramente liberale e romanticamente progressista. Il razionalismo è per lui verità fuor di discussione; "(…) quando non c'è indipendenza di ragione non c’è ragione" (17) e "(…) credo ci sia più presunzione nel dire: - L’uomo non può sapere di più - che nel dire: - L'uomo può sapere tutto –" (18), scrive il 25 luglio 1829 all'amico Manuel Gallardo. Né trascura l'appello ai giovani: "Sì; a voi, a me, a tutti i giovani è riservato l'affascinante privilegio di levare la nostra testa indipendente in mezzo ad uomini imbecilli o pusillanimi oppressi dal peso di sistemi mostruosi che pervertono i loro cuori e conducono con una luce funesta per immensi precipizi la dolente Umanità" (19).

Se paragoniamo però il giudizio sul razionalismo contenuto in queste lettere con quello che darà nelle "Nozioni preliminari per servire d'introduzione agli studi sopra la Storia", molti anni dopo, notiamo che con lo stile, più maturo e pacato, anche la sostanza è diametralmente opposta: "II razionalismo è una demenza monomaniaca. Coloro che soffrono questa tremenda malattia falsamente si dicono razionalisti, come quei sventurati che vedendosi nei palazzi innalzati a loro vantaggio dalla carità cristiana, e detti manicomi, falsamente si dicono imperatori.  Gli uni si appellano creatori, perché sono nella creazione, come gli altri si gridano imperatori perché abitano in un palazzo. La somiglianza che esiste fra i razionalisti e i pazzi si può dire identica, se si osserva che gli uni come gli altri gridano avere la sovranità di quella ragione che entrambi hanno perduto, (…) Io non so se i miei lettori hanno osservato come tutti i pazzi sono razionalisti. Tale osservazione è tanto certa, che i pazzi nell'istante medesimo in cui cominciano a dubitare di ciò che dicono e a porre in forse l'infallibilità della ragione, vale a dire da che cominciano a cessare d'essere razionalisti, già possono uscire dal manicomio, perché sono convalescenti o sani" (20), concluderà con amara ironia.

Ma Donoso non ha ancora incominciato la sua peregrinazione alla ricerca della verità (21).

 

2. Cattedratico di "Humanidades".

 

Tornando quindi al 1829, vediamo il giovane Juan già cattedratico di Estetica e Letteratura ("Humanidades") nel Collegio di Caceres. Il posto spettava a Quintana, ma questi si era rifiutato di assumere l’insegnamento, additando però Donoso come l'elemento più adatto a sostituirlo. In effetti a quell'epoca la reazione ferdinandina rendeva la vita dura ai liberali ed agli intellettuali "ilustrados", e Quintana voleva appunto con quel gesto sottolineare la sua protesta. Tra l'altro correva proprio l'anno del matrimonio di Ferdinando VII con Maria Cristina di Napoli, quarta moglie.  Questo toglieva ogni speranza di successione a Don Carlos, fratello del re, speranza che aveva nutrito lungo tempo, giacché i precedenti matrimoni del re erano rimasti sterili. Le nozze con Maria Cristina rendevano definitiva la spaccatura del Paese, diviso fra "carlisti" e liberali.

Donoso accetta malvolentieri, dato che l'incarico è poco più che onorifico: "(…) questi maledetti uditori di Caceres stanno impegnandosi a che io sia cattedratico di Umanità, e io nel non esserlo, perché non desidero alcuna specie di obbligazione" (22), scriveva poco prima ad un amico. Aveva anzi cercato di evitare, se possibile, 1' "onore", adducendo come scusa la sua non perfetta conoscenza del latino, lingua che poteva essere scritta degnamente solo da Virgilio o Cicerone: "(...) io non mi vergogno di confessare che non posso scriverla degnamente, e l'usanza di farlo è figlia dei secoli barbari" (23); ma non c'era stato nulla da fare, anche per l'insistenza del padre. Così, nell'ottobre, Donoso pronuncia il discorso di apertura del nuovo anno accademico.

Il discorso è un compendio dell'ideologia del primo Donoso Cortés (un'ideologia ancora confusa e spesso contraddittoria); nel discorso si dichiara discepolo del naturalismo di Rousseau, "il genio della solitudine e della malinconia" (24); inneggia alla "baronessa de Staél, superiore al suo secolo e al suo sesso" (25); si scaglia contro "l’albero mostruoso del feudalesimo" (26); si proclama figlio del suo secolo (27) e simpatizza con le rivoluzioni, "la marcia costante dei secoli e la forza irresistibile delle cose"(28). Naturalmente non trascura di bruciare incenso sull'altare della Dea – Ragione: "Invano la superficialità e il pedantismo leveranno la loro voce e, con la loro voce, i loro sofismi; questi svaniranno come fumo davanti al raziocinio del filosofo (…) Insensati! Quando abbandonerete per la solidità della ragione la puerilità delle vostre declamazioni!" (29).

Al di là però dell'iperbolica romantica del "gran poeta en prosa", come lo definisce Juan Valera (30), Donoso comincia a rivelare il rigore logico che lo contraddistinguerà nelle sue opere migliori, quella stessa forza che più di una volta in seguito lo porterà al di là delle sue stesse conclusioni ed il gusto per la Storia che non lo abbandonerà mai.

Può forse dare un tono allegro al presente lavoro il raffigurarci questo imberbe professore, serio e dignitoso, di fronte ad una platea composta di due soli allievi, poi ridottisi a uno, Gabino Tejado, che allora aveva dieci anni, pronunciare tutti i giorni una dissertazione di un'ora o mezza (31), e pensare che si tratta dello stesso uomo i cui discorsi avranno tra non molti anni risonanza europea, l'uomo di cui Balmes dirà: "Quando il signor Donoso parla, tutte le conversazioni cessano, ogni orecchio si applica, perché i suoi discorsi non assomigliano a nulla d'altro che non a sé stessi" (32).

A Caceres può però consolarsi nell'amicizia dei figli di Garcia Carrasco, tornati dall'esilio grazie all'influenza che la regina Maria Cristina (che non nascondeva le sue simpatie per i liberali, visto che i carlisti insidiavano il trono della figlia) cominciava ad avere sul "torbido istrione" (33) Ferdinando VII. Sono mesi di serenità per Donoso.  Scrive una "Silva Lirica" e legge Voltaire. Di questo periodo dirà in seguito: "Ebbi un tempo il fanatismo letterario, cioè il fanatismo per la bellezza delle frasi e delle forme, (…) ma un tale fanatismo passò" (34).

E ben diverso sarà il suo atteggiamento rispetto a quella letteratura che adesso sopra ogni cosa ama: "(La dissoluzione) cominciò in Europa con la restaurazione del paganesimo letterario, la quale cagionò una appresso all'altra, le restaurazioni del paganesimo filosofico, religioso, politico. Oggi il mondo è alla vigilia dell'ultima di queste restaurazioni, la restaurazione del paganesimo socialista" (35).

Il 20 gennaio 1830 sposa Teresa Garcia Carrasco. Per cogliere il delicato affetto che legava Donoso alla sua compagna sono illuminanti le sue stesse parole.

Quel giorno, diciotto anni più tardi, il 16 aprile 1848, mentre leggeva il discorso intorno alla Bibbia, in occasione del suo ricevimento all'Accademia della lingua, era sicuramente l’immagine della sua Teresa che aveva davanti agli occhi nel pronunciare quelle parole: "Quando Dio innamorato dell'uomo, sua più perfetta creatura, volle fargli un primo dono, nel suo amore infinito gli diede la donna, acciò essa gli spargesse fiori nel cammino e luce nell'orizzonte" (36).

 

3. Il "golpe" di La Granja.

 

Frattanto la situazione politica precipita. La regina era incinta; se fosse nata una femmina, il trono, per la Legge Salica di Filippo V, sarebbe spettato a Don Carlos, "uomo nel quale l'istinto del reazionario era pari solo al fanatismo religioso più spinto" (37).

Maria Cristina, dietro consiglio di fidi "afrancesados", spinge il re (che all'epoca molto probabilmente non doveva essere alieno da simpatie massoniche) a pubblicare la Prammatica Sanzione che suo padre Carlo IV aveva redatto con le Cortés del 1789, documento che abrogava la Legge Salica. Per varare la manovra non viene consultato alcun organismo; la prima notizia infatti che si ha della legge è la sua apparizione ne “La Gaceta"; la giustificazione giuridica verrà dopo, vista la resistenza che la Prammatica incontrerà (38).

I realisti non riconoscevano il documento: infatti nel "Manifiesto" del 1814 avevano scritto che ci sono convenzioni tra Re e popolo che si rinnovano con giuramento ad ogni consacrazione di Re; ogni atto personale contrario è nullo di diritto (39). Nasce Isabella e la situazione si aggrava. Questo era il clima all’apparire di Donoso Cortés sulla scena politica.

Nel 1832 si trasferisce coi cognati e la moglie a Madrid. Lo stesso anno il re si ammala e, sentendo vicina la morte, preso da scrupoli di coscienza abroga quella Prammatica della cui validità, forse, né lui né la moglie sono mai stati completamente convinti. Ma un gruppo di liberali, tra cui Donoso, con l'appoggio della regina e della di lei sorella, l'Infanta Luisa Carlotta, riescono in una settimana a capovolgere la situazione. Il re viene convinto a ristabilire la Prammatica e a nominare il 1° ottobre 1832 un governo liberale presieduto da Cea Bermudez. Il "golpe" passa alla storia col nome di "Sucesos de La Granja", dal nome del luogo ove si svolsero i fatti (40).

Qualche mese prima Donoso aveva mosso i primi timidi passi in direzione della Corte indirizzando al re due suppliche in favore del cognato Juan José Carrasco, deportato per attività antigovernative; le suppliche sono rimarchevoli sotto un certo aspetto soprattutto per le idee che vi sono contenute, idee che contrastano radicalmente con quelle del Donoso delle lezioni al Collegio di Caceres. Vi si parla della religione cristiana come vincolo di unità e felicità degli uomini e dei popoli occidentali in particolare; della filosofia empirista, causa prima del caos sociale e delle rivoluzioni, in quanto inoculatrice del germe del dubbio: "La filosofia da sé sola nulla può; dal suo divorzio con la religione sono nati tutti i mali che gravano sull'Europa" (41), vi si dice infatti. E ancora: "Una società non può esistere senza una base comune di credenze, che sia come il vincolo che dia unità a tutti gli interessi particolari; se questo principio d'unità sparisce, lo spirito di individualismo si asside sul trono e la società perisce" (42). Mostra inoltre, col metodo dell’inquadramento nella storia che gli era caro, la "lotta del principio religioso, che riunisce per conservare, e del principio filosofico, che individualizza per distruggere"; la Riforma, dice, è stata il primo risultato (43). C'è di più: sembra addirittura intuire l’attacco che si prepara alla proprietà privata e quindi la rivoluzione sociale che sta dietro ai moti liberali, quando osserva che "le masse non fanno le rivoluzioni per principi, ma per interesse" (44). E altrettanto sconcertante è il giudizio negativo sulla Rivoluzione Francese, non più salutata con entusiasmo romantico, ma vituperata come distruttrice del principio religioso e corruttrice, quindi, dei costumi.

Un popolo che non crede in nulla, fa presente al Sovrano, è sempre in lotta col Governo. Il tutto è unito alla condanna del principio nella libertà assoluta di stampa, discussione, ecc… . che sono le idee che caratterizzeranno il Donoso Cortés di venti anni dopo. Pensare che il contenuto delle suppliche sia stato dettato da sentimenti di adulazione verso il Sovrano, come a volte fa colui al quale preme raggiungere un determinato risultato, è forse eccessivo. Anche perché non sarebbe da un uomo che qualche anno più tardi si ergerà, scoglio solitario, contro il "senso della Storia". Si può forse spiegare l'arcano richiamando quanto detto poco sopra, e cioè che la logica di Donoso Cortés va spesso più in là del suo stesso portatore.

E' il 13 ottobre 1832 che vediamo Donoso imporsi per la prima volta all'attenzione pubblica, con una "Memoria sobre la Monarquia" indirizzata al re.

 

4. II primo incarico pubblico.

 

Con la "Memoria sobre la situacion de la Monarquia, dirigida a Fernando VII", il giovane Donoso si schiera "coram populo" per i liberali. Il libello, non esente da spirito di parte, è d'una lealtà assoluta e incondizionata verso la volontà reale espressasi nella "Prammatica". Lo scritto fa un'analisi spesso verbosa e non di rado arbitraria della storia della Legge di Successione di Filippo V, per dimostrarne la mancanza di fondamento giuridico. Lo scritto può essere brevemente riassunto così: l’unica legge di successione valida in Spagna è la determinazione delle Cortés del 1789; essa è scritta, promulgata, osservata e sanzionata, è quindi nata dal costume e come espressione delle necessità del Paese, come tale deve essere sempre seguita e deve regolare per sempre la successione. In base a tale ragionamento, essendo la Legge Salica importata dalla Francia, non ha nessun valore in Spagna, perché non risponde alle esigenze del costume spagnolo. Pare in realtà che il ventitreenne Donoso non abbia avuto occasione di documentarsi a fondo sull'argomento, come starebbe a dimostrare la mancanza nella "Memoria" di una sola citazione che provi quel che riferisce. Del resto, poi, se la legge di Filippo V era invalida, perché le Cortés del 1789 la revocarono solennemente? Il problema è certo uno dei più appassionanti e oscuri della storia moderna della Spagna (45).

Comunque il tono di Donoso non è eccessivamente estremista, e questo forse per una duplice serie di ragioni: da un lato il suo scopo è quello di far passare i liberali, agli occhi del re, per gente d'ordine, difensori della monarchia contro i cospiratori carlisti (trascurando il fatto che nelle file del carlismo militavano quelli che si erano tenacemente opposti ai napoleonici proprio in nome della Monarchia e della tradizione cattolica spagnola, mentre i liberali erano stati ed erano "afrancesados", come fa ben notare Giovanni Allegra) (46); dall'altro c'è la rivoluzione di luglio in Francia, che gli ha mostrato che le insurrezioni di massa finiscono con irruzioni nella proprietà, perché "le masse non fanno le rivoluzioni per dei principi, ma per interesse", cosa che non può non sgomentare un uomo di principi, quale egli è. Se la monarchia, quindi, vuole salvarsi, deve appoggiarsi alle classi medie.

Lo scritto rende il miglior servizio al liberalismo spagnolo e richiama l'attenzione del Sovrano sul giovane giurista; il re lo fa stampare nel novembre col beneplacito reale. Donoso ottiene così (come fa osservare Suarez) due grossi risultati: consolidare la situazione politica creatasi col "golpe", convincendo il re dell'ortodossia dei liberali col far leva sui suoi sentimenti di padre e di sposo. Di più: prepara il re per la trasformazione radicale auspicata per la Spagna, togliendogli ogni scrupolo sulla legittimità della Prammatica. Infine, ed è questo l'altro grosso risultato, viene nominato dal re ufficiale della Segreteria del Ministero di Grazia e Giustizia del Dipartimento delle Indie nel febbraio 1833. Nello stesso mese Donoso termina, il prologo al suo poema "El cerco de Zamora" (47), che pubblicherà dopo poco. Sarà la sua ultima manifestazione poetica.

 

5. Il punto di partenza dottrinario.

 

II 29 settembre 1833 muore Ferdinando VII, lasciando come Reggente fino ai diciotto anni di Isabella la moglie Maria Cristina. Don Carlos rinnova le sue pretese al trono, ma ottiene soltanto di far stringere vieppiù Maria Cristina ai liberali. Invano Cristina aveva inaugurato la sua reggenza dicendo tramite la penna di Cea Bemudez, nel manifesto del 4 ottobre, che la religione, la sua dottrina e i suoi ministri sarebbero stati la prima cura del suo governo, senza ammettere innovazioni pericolose" (48), per rassicurare i cattolicissimi carlisti. Come fidarsi di queste parole mentre si vedeva gli esiliati tornare a frotte? Così Don Carlos si fa proclamare "Carlo V, re di Spagna" e scoppia la prima guerra carlista.

La situazione è disastrosa; l'esercito carlista, comandato dal genio strategico di Zumalacarregui, dà parecchio filo da torcere ai "cristini"; Don Miguel, il corrispondente di Don Carlos in Portogallo, lo appoggia. Si forma la Quadruplice Alleanza tra Francia, Inghilterra, Spagna di Maria Cristina e Portogallo di Maria da Gloria, Roma si rifiuta di riconoscere Isabella e le potenze assolutistiche d'Europa propendono per la causa di Don Carlos.

A complicare le cose il 15 luglio 1834, giorno della Vergine del Carmine, sotto il ministero di Martinez de la Rosa, arriva il colera. Si sparge la voce che sono stati i frati ad avvelenare le acque per diffondere l'epidemia (Martinez de la Rosa dichiarerà solennemente prima di morire a J. Fidal che la voce è stata sparsa ad arte dalla logge) (49).

II 17 luglio comincia quella cosa orrenda che passa alla storia di Spagna sotto il nome di "matanza de los frailes"; in molte città preti, frati e suore vengono inseguiti, uccisi, orrendamente mutilati ed esposti nelle taverne. I particolari dell'agghiacciante vicenda non meritano di essere qui esposti. Il tutto con la complicità (e la stessa partecipazione, a volte) della "milicia urbana" governativa, che praticamente era l'unico potere effettivo in quei giorni d'anarchia (50).

Il nostro Donoso, che nel marzo 1834 era stato nominato segretario con esercizio di decreto al Ministero di Stato, resta profondamente turbato dall'episodio. Sono stati finora per lui mesi di intensa attività giornalistica su "La Abeja", "El Correo Nacional", "El Pervenir", "El Obsarvador", "El Piloto". Gli è già morta l'unica figlia e l'anno seguente gli morirà la moglie; ma in questo turbinio di accadimenti la sua azione è tesa a dare al liberalismo un sistema organico, sicuro, un criterio perfetto che gli permetta di pilotare la traballante barca della Monarchia spagnola verso acque più sicure.

Scrive le "Consideraciones sobre la diplomacia". In quest'opera Donoso Cortés si avvicina a posizioni liberal-moderate; si avverte nettissima l'influenza della lettura dei dottrinari francesi, Cousin, Guizot, Roger-Collard. Dottrinaria è infatti l'idea base dello scritto, l'intelligenza come ultima "ratio" dello Stato ed elemento di coesione della società? La legittimità del potere è tale solo se rappresenta il principio reggitore della nuova situazione sociale (51).

La posizione equidistante, tipica del "juste-milieu" dottrinario è poi evidente nel passo che si riferisce alla Costituzione di Cadice del 1812: "II mio cuore non simpatizzerà mai con quelli che la disprezzano; ma la mia coscienza non mi permette di bruciare incenso sui suoi altari" (52). Per Donoso non esiste Costituzione buona o cattiva in sé, perché una Costituzione non è altro che la forma che assume la società in un determinato momento storico. Quella di Cadice del 1812 nasce per lui dal fatto che l'invasione napoleonica ha trasformato ogni cittadino in un soldato, confondendo e mescolando le varie classi davanti al pericolo comune. La diplomazia nell'opuscolo di Donoso c'entra poco, in realtà. E' un pretesto per attaccare Don Carlos, "il principe sleale (…), carico d'ignominia e curvo sotto il peso delle maledizioni della sua patria" (53), e il Congresso di Vienna, dove, dice Donoso, "tutti i tiranni s'incontrarono" (54). Ma anche alla rivoluzione ha qualcosa da dire. Essa, "il principio deleterio che si appoggia alle classi proletarie" (55), è stata la causa della carneficina dei frati: "E’ una lezione, e questa lezione è severa. Il suo ricordo sarà indelebile e turberà per lunghi giorni il nostro riposo" (56).

L'anarchia in cui versa il paese è dovuta al "divorzio tra la libertà e l'ordine" che "ha prodotto tutte le catastrofi delle società umane" (57). La soluzione è la solita: appoggiarsi alle classi medie.

L'opera ha un discreto successo, la stampa ne parla, anche se non sempre favorevolmente; alcuni lo accusano di essere un plagiatore della mentalità francese. Donoso risponde dichiarandosi (ancora una volta) nient'altro che figlio del suo secolo (58).

Frattanto la situazione politica risulta aggravata dalla scissione del partito liberale in due fazioni; progressisti e moderati. Tra questi ultimi troviamo grossi nomi, come Martinez de la Rosa, Isturiz, Alcalà Galiano, Toreno. Donoso si schiera con i moderati. La rottura avviene sulla questione dell' "Estatuto Real", la Costituzione promulgata dal Ministero De la Rosa, giudicata troppo moderata dall'ala progressista del partito (59). Donoso scrive un articolo su "El Observador" il 1° gennaio 1835, in difesa del Ministero (60). Ma la "matanza de los frailes" aveva troppo scosso gli animi perché il governo potesse ancora resistere a lungo.

E infatti dopo pochi mesi Toreno sostituisce Martinez de la Rosa. Sono giorni dolorosi per Juan Donoso Cortés: il 3 giugno gli muore improvvisamente la moglie. "Por lo demas, amigo mio, la felicidad se acabo ya para mi, y en mi corazon solo habitara la tristeza” (61), scrive ad un amico.

Sotto il Ministero Toreno (8 giugno-14 settembre) l'anarchia diviene totale. In tutte le province sorgono giunte rivoluzionarie che irridono ad un governo impotente. I mezzi apprestati da Toreno per calmare le acque non fanno altro che aggiungere legna al fuoco.

II governo, infatti, non trova nulla di meglio da fare che espellere nuovamente i Gesuiti (che erano stati richiamati da Ferdinando VII), sopprimere i conventi e le congregazioni religiose. Donoso chiede che vengano convocate le Cortés, ma gli si oppone Isturiz e la cosa finisce lì. Donoso allora, sdegnato, aderisce al nuovo Ministero di Juan Alvàrez Mendizàbal, ultraliberale di origine ebraica, massone e anglofilo (62). Il nuovo governo lo invia in Estremadura come Commissario Regio, al fine di mantenere leali le province di Caceres e Badajoz. Il buon esito dell'impresa gli vale la Croce di Cavaliere dell'Ordine di Carlo III e la categoria di funzionario più anziano Capo Sezione, nella Segreteria di Grazia e Giustizia.

Ma un "hidalgo", forte dello spirito nobile dei suoi avi, quale era Donoso Cortés, non poteva rimanere a lungo nel libro-paga di Mendizàbal.

Nell'inverno tra il 1835 e il 1836 cadono implacabili sulla Chiesa di Spagna i decreti governativi contro la manomorta ecclesiastica. Tutte le immagini sacre vengono tolte dalle strade, si proibiscono la mensa dei poveri, l'accattonaggio e le processioni. I beni ecclesiastici vengono venduti all’incanto e trovano, naturalmente, folte schiere di ricchi borghesi pronti ad acquistare vasti latifondi a prezzi irrisori. Il provvedimento si risolve in un disastro, perché l'economia non ne riceve alcun vantaggio, mentre ciò che si ottiene è la proletarizzazione di un numero incredibile di contadini, la rottura totale con la S. Sede e il rivoltarsi dell’animo profondamente cattolico del popolo spagnolo (63). E' un colpo per la coscienza di Donoso vedere quel che viene commesso in nome della libertà e della ragione, "Le lacrime dei miei occhi testimoniano che (la libertà) fu la prima illusione che illuminò con magici colori l'orizzonte della vita, ma che passò, ahimè!, come tutte le illusioni dell’infanzia, come passa il primo amore ed il primo sogno di gloria" (64).

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