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Prefazione  di  Girolamo

 

 

 

1. Una spada, per quanto tagliente e scintillante, se re­sta a lungo nel fodero si macchia di ruggine e perde lo splendore e la bellezza primitiva. E così anch’io, afflitto per la morte della santa e venerabile Paola, non perché vo­lessi contraddire il precetto dell’Apostolo (cf. 1Ts 4,13), ma perché rimpiangevo quella consolazione che essa offriva a molti e che con la sua morte era venuta meno, ho accetta­to volentieri i libri inviatimi dal presbitero Silvano, uomo di Dio che li aveva ricevuti a sua volta da Alessandria per farmeli tradurre. Diceva infatti che nei cenobi della Tebai­de e nel monastero della Metanoía, a cui il nome di Cano­po con felice conversione era stato mutato in quello di mo­nastero della Penitenza, vivevano molti latini che non co­noscevano né il copto né il greco, lingue in cui sono state scritte le regole di Pacomio, di Teodoro e di Orsiesi, che per primi gettarono le fondamenta dei cenobi nella Tebaidee in Egítto secondo un ordine ricevuto da Dio e da un an­gelo da Dio a questo scopo.

E dunque, poiché a lungo avevo taciuto e nel silenzio ero divorato dal dolore e d’altra parte il presbitero Leonzio e gli altri fratelli, inviati insieme a lui proprio per questa ragione, mi sollecitavano, feci chiamare uno scrivano e gli dettai nella nostra lingua (questi testi) già tradotti dal copto in greco. E l’ho fatto per obbedienza, non dico alle suppliche ma agli ordini di uomini così ragguardevoli e per rompere il mio lungo silenzio, come si suol dire, sotto un buon auspicio. E così ritornai ai miei antichi studi e diedi consolazione all’anima di quella santa donna che sempre era stata infiammata d’amore per i monasteri e che aveva meditato qui sulla terra ciò che doveva contemplare in cielo.

E inoltre sua figlia Eustochio, venerabile vergine di Cristo, avrebbe avuto qualcosa da offrire alle sue sorelle come norma di vita e i nostri fratelli avrebbero potuto seguire gli esempi degli egiziani, cioè dei monaci di Tabennesi.

2. In ogni monastero essi hanno padri, economi, ebdomadari, incaricati e prepositi alle singole case. Una casa riunisce circa quaranta fratelli che obbediscono al preposito e, secondo il numero dei fratelli, in un monastero ci sono da trenta a quaranta case; tre o quattro case sono riunite in una tribù e queste tribù si recano insieme al lavoro e si alternano in ordine nei servizi settimanali

3. Chi poi è entrato nel monastero per primo per primo si siede, per primo si muove, per primo recita il salmo, per primo si serve a tavola, per primo riceve la comunione in chiesa. Fra di loro non conta l’età, ma la (data della loro) professione.

4. Nelle celle non hanno nulla tranne una stuoia e i seguenti oggetti: due tuniche, cioè una specie di veste egiziana senza maniche e un’altra tunica già consumata per dormire o per lavorare, un mantello di lino, due cocolle, una pelle di capra chiamata melote, una cintura di lino, i sandali e un bastone, compagni di viaggio.

5. I malati sono assistiti con cure particolari e con cibi preparati con ogni abbondanza. I sani osservano un regime più severo: due volte la settimana, il mercoledì e il venerdì, tutti digiunano, tranne nel tempo di Pasqua e di Pentecoste. Gli altri giorni, quelli che vogliono mangiano dopo mezzogiorno e anche a cena si prepara il pasto per chi è affaticato, per i vecchi, i bambini e nei periodi di gran caldo. Alcuni, la seconda volta, mangiano poco, altri si accontentano di un pasto solo, del pranzo oppure della cena; alcuni se ne vanno dopo aver mangiato soltanto un po’ di pane. Mangiano tutti insieme. Chi non vuole andare a tavola riceve nella sua cella un po’ di pane, acqua e sale, per uno o due giorni, come vuole.

6. I fratelli che esercitano lo stesso mestiere sono riuniti nella stessa casa sotto un solo preposito. Per esempio, quelli che tessono il lino stanno insieme, quelli che intrecciano stuoie sono considerati una sola famiglia. I sarti, i carpentieri, i lavandai, i calzolai sono guidati dai loro prepositi e ogni settimana rendono conto del loro lavoro al padre del monastero.

7. I padri di tutti i monasteri hanno un solo capo che abita nel monastero di Pbow. Nei giorni di Pasqua si ra­dunano tutti presso di lui tranne quelli che sono indispensabili nei monasteri e così circa cinquantamila uomini ce­lebrano insieme la festa della Passione del Signore.

8. Nel mese detto di mesore, cioè in agosto, a imitazione del giubileo (cf. Lv 25), si celebrano i giorni del condono; a tutti vengono perdonati i peccati e quelli che hanno avuto motivi di discordia si riconciliano. Sono inoltre nominati i capi dei monasteri, gli economi, i prepositi, quelli che adempiono i diversi servizi secondo le necessità.

9. Quelli della Tebaide dicono anche che un angelo insegnò a Pacomio, Cornelio e Sourous, di cui si dice viva ancora oggi ed abbia più di centodieci anni, un linguaggio segreto che permetteva loro di scriversi e di parlarsi con un alfabeto spirituale, celando sotto segni e simboli dei significati nascosti. Queste lettere le abbiamo tradotte nella nostra lingua, fedeli alla lettura che ne fanno gli egiziani e i greci lasciando i segni come li abbiamo trovati. Prova della fedeltà della nostra traduzione è il fatto che abbiamo imitato la semplicità della lingua copta perché un linguaggio retorico non offrisse un’immagine falsa di quegli uomini apostolici ripieni della grazia dello Spirito. Non ho voluto neppure sfiorare altre cose contenute nei loro trattati, perché quelli che amano studiare la santa vita cenobitica le imparino dai loro stessi autori bevendo direttamente alle fonti piuttosto che a rigagnoli.

 

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